Dopo il successo dello scorso anno con la mostra "L'utopia della mente stellare" torna al Micro Emanuele Parmegiani, tra i più interessanti protagonisti della scena artistica romana. La mostra, curata da Paola Valori con testo in catalogo di Alberto Dambruoso, presenta l’ ultimo ciclo di opere su carta e su tela dal titolo Metropolitania, dal 6 al 13 novembre 2018.
L’ARTE IMPARA UNA LINGUA NUOVA
dal testo in catalogo di Paola Valori
Con immenso entusiasmo rinnovo anche quest’anno l’invito ad un artista fecondo e prepotentemente innovativo come Emanuele Parmegiani. Banale chiamarlo un outsider, Parmegiani è un artista fuori da ogni classifica o griglia concettuale, con un approccio unico alla pittura, caratterizzata da una forte espressività, seppur incentrata su pochi temi sempre ripetuti e rinnovati. Ma non è l’unica ragione per cui torna da Micro, anzi, è per via di quel coup de théatre che innesca ogni sua mostra, come adesso con Metropolitania, che risiede il motivo del suo ritorno e non soltanto per l’eccentricità della sua persona. Sta quindi esattamente nell’invenzione di una nuova lingua il tocco di genio. Fuse insieme all’intrico di linee e forme spezzate adoperate nei suoi lavori, le tracce che imprime con tutti i tipi di tecnica pittorica, ad esempio in “cane drago notturno”, rovesciando ogni aspettativa visiva, presuppongono da una parte un chiaro influsso del graffitismo, ma d’altra parte, per mezzo di una rivisitazione giocosa e di forte accento cromatico, spaziano verso una forma linguistica nuova che spiazza e sorprende, e che riporta a deja-vu visivi, amarcord senza nostalgia di un patrimonio artistico oltremodo noto. Tutto ciò però, grazie al suo elaborato folcklore di colori e schizzi, viene rimodulato e l’arte impara una lingua nuova, riassume una forma del tutto inedita. C’è senz’altro, in fondo, un sorprendente filo di continuità con la revolucion di Picasso e i corpi sgraziati e senza volume né unità, oltreché con l’estetica formale di Basquiat in quel tormentato ripetersi di forme. Ma ancora una volta queste si traducono sulla tela come traccia di una memoria che guarda al passato più illustre della storia dell’arte. Senza però cadere nello scontato stereotipo di mera citazione, la sua operazione creativa non ricade nel puro atto di omaggio, perché sale verso la sua forma più alta di un segno primitivo e inconscio più che mai riconoscibile, e del tutto inconsapevole. ©Paola Valori