UN ARTISTA AL GIORNO

 “C’è una crepa in ogni cosa, è così che entra la luce”. Leonard Cohen

UN ARTISTA AL GIORNO. ARTE, ARTISTI E PANDEMIA.

di Paola Valori

 Ciò che l’arte ha ribadito nei momenti più difficili della pandemia è paradigmatico ed è la riprova di quanto costituisca da sempre un fondamento della nostra civiltà. Un valore davvero essenziale, allo stesso modo dei musei, che a margine dello scoppio della pandemia, sono stati definiti “beni essenziali”, appunto.

In quei momenti drammatici però, lo sguardo che gli artisti hanno saputo rivolgere verso se stessi e verso il mondo, non ha rappresentato certo una novità e neppure un’abilità dello spirito acquisita durante il periodo delle restrizioni: semmai, in quei lunghi mesi, si è potuta affinare per diventare più corale, più eloquente. Quando ho deciso di lanciare la campagna social “Un artista al giorno”non mi aspettavo risposte tanto esaltanti e così numerose. L’arte ha dimostrato di essere più forte anche del coronavirus, e persino in un momento di grande incertezza ha trovato la sua strada. In un periodo in cui, per la maggior parte delle persone stare a casa ha significato vivere in una sorta di limbo che ha costretto a ripensarsi, a rivedere le proprie abitudini e le proprie relazioni, non è stato così per gli artisti, anzi, l’arte ha offerto una risposta completamente diversa ma non nuova: l’arte è sempre stata un’espressione naturale e al contempo rivoluzionaria.

L’invito che MICRO ha rivolto pubblicamente era quello di cercare di guardare con nuovi occhi la propria vita e il suo significato più profondo attraverso la creatività e la bellezza, mettendo in connessione la gente costretta a casa, con le opere d’arte. Se il sistema museale ed espositivo ha dovuto fare i conti con la realtà ed è stato obbligato a fermarsi, il bisogno di esprimersi attraverso le arti visive non poteva arrendersi alle contingenze, e come in molte altre parti del mondo ha trovato una nuova modalità attraverso i social come unica vetrina possibile.

L’iniziativa “Un artista al giorno”per esempio - ogni giorno, dal lunedì al sabato - ha pubblicato un'opera d'arte sulla pagina Facebook, poi rilanciata sugli altri canali social Instagram e Twitter. "Micro non si ferma" è stato il concetto (e l'hashtag) che invitava tutti gli artisti a inviare le proprie opere, per continuare a portare l'arte nelle case, sperimentando una nuova via di comunicazione.  Da tutti gli smartphone, pc o tablet è stato possibile ammirare ogni giorno un’opera contemporanea diversa, in attesa di tornare a guardarle dal vivo. Ed ecco che da quel momento ha preso forma l’idea di una “futura” mostra, che adesso sto inaugurando con la felicità nel cuore, con un solo preciso significato: rendere testimonianza. E perché siamo quasi del tutto fuori da quel dramma fatto di pericoli e limitazioni, e perché torniamo “a casa”, restituendo all’arte, agli artisti e a noi stessi, la bellezza dell’incontro attraverso le mostre, che non sono altro che momenti speciali per guardarsi di nuovo negli occhi.

La rassegna raccoglie ad oggi oltre trecento artisti che per ragioni di spazio non possiamo esporre tutti insieme, per questo si è pensato di creare diversi appuntamenti per mostrare nel tempo tutti gli artisti che hanno aderito, come un’unica meravigliosa opera d’arte collettiva. Un progetto ambizioso e necessario, oggi punto di partenza.

Ma come hanno risposto gli artisti a questo appello? Con tecniche e approcci di ogni tipo, che intercettano le forme più alte di espressione della creatività. Chi con strumenti digitali come Valérie Biet che propone una rivisitazione dissacrante della Gioconda in pieno stile dadaista, con quella ironia che spesso sconfina nel suo lavoro, chi con sguardo poetico a metà tra pittura e illustrazione come Emma Anticoli Borza che presenta una delle quattro virtù con la solita cura all’atmosfera e al dettaglio, sempre attenta nel catturare l’essenza delle donne. Per Fabio Camilli invece la parola diventa parte dell’opera, insieme alla musica. I versi distribuiti in maniera evocativa vorticano tra segni e colori, un lavoro intellettuale dove la musica è centrale nel suo processo creativo. Sempre nella dimensione del ritmo è l’opera di Claudia Caracausi con una città in movimento dai tratti futuristi. L’opera esalta la velocità urbana attraverso la suddivisione degli spazi e dei colori. Nel segno dell’essenziale è invece Costantino Castellotti. Interessante l’analisi delle tessere/sequenze, tema ricorrente del suo fare artistico, basato principalmente sulla sintesi e sulla forza del segno, concetto che assume più importanza dell’opera stessa. Tra i fotografi spicca Ugo Maria Cionfrini che senza alcun ausilio di post produzione, cattura in uno scatto movimentista un breve e fugace attimo, per trasformarlo in un gioco raffinato di forme in movimento. Il volo di Laura Cultrera ci infonde speranza per il futuro. Il suo segno pulito - che coniuga la pittura all’illustrazione e all’arte orafa - crea un mondo immaginifico, che anticipa uno dei temi che accompagnano la sua ricerca, la dimensione narrativa. Tra inconscio e surreale si esprime l’arte digitale di Francesca Etre, un uomo è raffigurato nudo e di spalle in un’ambientazione fantastica e sospesa, dal sapore onirico. Il suo punto di partenza resta sempre la manipolazione digitale, combinata spesso a suoi scatti fotografici e a un uso intenso del colore. Più  concettuale è Fabrizio Fragano,che esplora con profonda sintesi simbolica l’elemento buio-luce, accostando tra loro due sole campiture: un intenso e abissale nero a un giallo compatto di grande luminosità. L’artista pone l’attenzione sulla dimensione “spaziale” dei due colori, due estremi opposti e complementari, come essenza stessa dell’esistenza. Un tuffo nel monocromo con Massimiliano Ferragina, artista emozionale che propone il blu come panacea, come abbraccio cosmico, simbolo per eccellenza di spiritualità e trascendenza. Il colore è elemento primario del suo alfabeto pittorico, lo spettatore è libero di interagire con l’opera e di immaginare. L’opera di  Saverio Galano si avvicina al linguaggio dei graffiti. La cifra che attraversa il suo lavoro è infatti il segno - nero, stilizzato, incisivo - tipico dello stile grafico dei murales. Il tratto semplice e riconoscibile riassume la sua costante ricerca e sperimentazione formale. Frizzante, colorata, giocosa, è la proposta di Enrico Grasso. Raffigura un mondo femminile patinato,che emerge verosimilmente dal suo background che proviene dal cinema, dalla scenografia, e dalla pubblicità. Le sue donne sono “dettagli” dipinti con cura, inquadrati da un taglio fotografico tra l’iperrealista e il pop. Diverso è l’universo femminile di Barbara Lo Faro ,che coglie parti del corpo come entità eteree, velate. La scelta del bianco e nero, ovvero l’assenza del colore se non l’aggiunta di pigmenti oro, assume un ruolo centrale nella leggerezza della composizione. Anche per Roberta Maola il bianco nero è d’elezione. Con l’uso sapiente della grafite su carta cattura ogni dettaglio con la tecnica del chiaroscuro iperrealista. Il risultato è sbalorditivo, talmente fedele alla realtà che è difficile pensare sia “solo” un disegno. Per la versatile Beatrice Mastrodonato l’opera è interattiva. Lo spettatore può scegliere di leggere un messaggio corrispondente a ogni volto, da lei definito “paesaggio narrante”. Si tratta di una sorta di rapidi appunti visivi, di schizzi a pennarello marcatamente caricaturali. Di grande originalità è il lavoro di Paola Napoleoni che sceglie materiali organici come il legno e la cera - e in aggiunta il cemento e il gesso - per inglobare tre elementi modulari. Forme elementari e geometriche si combinano in ripetizione con rigorosa eleganza. Ludico e concettuale è invece Antonio Pallotta, il quale presenta una composizione di elementi colorati tra design e arte. Trasversale in diversi campi, la sua ricerca racchiude una creatività multiforme e di forte impatto visivo. Alessandra Pediconi documenta la sfera degli affetti con occhio raffinato. E’ uno scatto intimista il suo, dove il bianco e nero crea un racconto antico, tocca le corde delle emozioni, celebra il ricordo, trovando il modo per fermare il tempo. Non solo concettuale ma anche puro piacere estetico è il manufatto di Maurizio Prenna che utilizza materiali poveri come il cartone e il fil di ferro con la consueta abilità comunicativa. Sempre nel segno di una fertile e audace sperimentazione, anche questo lavoro è frutto di ricerche estetiche fortemente personali. Una insolita interpretazione della materia viene proposta nell’opera di  Mariantonietta Sampaolo, che trova nella “de-tessitura”e nella semplicità del mezzo, il suo linguaggio poetico. L’opera assume valore simbolico nell’evocare nello spettatore il gesto ideologico del sottrarre, ovvero dello “sfilare”, trascendendo la dimensione artigianale. Una maestosa installazione in rete metallica è l’opera di Sabrina Trasatti che occupa in maniera sensibile lo spazio della mostra. Interessante risulta l’interazione materia-luce-ombra, con esiti di forte carica suggestiva. Celebrativo e surreale è invece il lavoro di Daniela Zannetti. L’immaginario che sottende al suo lavoro è di lettura freudiana: il cappello del padre tra i vari elementi, è riconducibile alla sfera più privata (come luogo venerato appunto, un santuario) in una sorta di percorso ascetico. Di implicazione sociale è l’arma del giovanissimo Leonardo Zappalà. L’iconica pistola ripetuta in serie è di chiara matrice Pop, il segno vibrante è di facile lettura, e rende la sua arte impegnata ma al tempo stesso leggera.

 Questa mostra racchiude gli esiti recenti di un periodo buio, frutto di una riflessione corale e condivisa che identifica il nostro tempo. Ogni opera ricevuta ha rappresentato per me un orizzonte, un lampo nel buio, perché si sa le tragedie portano con sé anche opportunità. L’arte anche se non ci ha salvato, ci ha permesso di non fermarci, malgrado le acque difficili abbiamo mantenuto insieme la rotta traghettando verso una nuova stagione, nonostante tutto.