MIO PADRE SALVADOR DALI': L'INTERVISTA DI PAOLA VALORI AL FIGLIO DEL GRANDE ARTISTA

Due chiacchiere tra Paola Valori e José Dalì per ripercorrere con semplicità e ironia le tappe della vita di quest'ultimo.

Ho incontrato José Dalì negli spazi di Micro in occasione della mostra “Dario Fo e l’arte contemporanea” . Subito mi ha incuriosita, non solo come artista, ma anche per la sua storia (non facile) di figlio d’arte. Nato dalla relazione tra Salvador Dalì e Elena Deluvina Diakonov (detta Gala, precedentemente moglie del poeta surrealista Paul Eluard) José ha vissuto la sua adolescenza con genitori adottivi. Segnata da eventi anche drammatici e
insoliti, la sua storia familiare è particolarmente importante per ricomporre, come egli stesso racconta il “complicatissimo puzzle della sua esistenza”.

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Padre-non padre, amico-nemico – così José descrive Salvador Dalì – come un padre bambino, più bambino di lui, dagli atteggiamenti stravaganti, che ama spesso spaventarlo con travestimenti e scherzi dal retrogusto macabro. Si maschera da diavolo, compie gesti teatrali come bruciare banconote nel caminetto acceso, e quasi traesse un sadico piacere nel terrorizzarlo, gli fa trovare nel letto animali impagliati. Dalì genio surrealista, è stato
certamente un padre ingombrante, narcisista, autocelebrativo, dalla personalità esagerata. Inquieta anche sua madre, la russa Gala. Donna algida e magnetica, psichicamente instabile: “la sua sposa, la sua musa la sua ossessione”. Due borderline che resteranno legati per tutta la vita. Incontrare José, frutto di questa relazione dalla straordinaria intensità, mi ha spinto a porgergli qualche domanda, di cui lo ringrazio per avermi concesso un po’del suo tempo.

Josè Van Roy Dalì. Un cognome che non ha bisogno di presentazioni. Quanto è difficile portare questo cognome?
Estremamente difficile e imbarazzante il solo pensare di osare il pur minimo confronto, soprattutto quello artistico. Nel caso specifico basta non pensarci troppo al divario stratosferico. Anche se con il tempo ci si deve abituare… come si fa con la propria faccia.

Perché la scelta dei baffi alle ore 10 e 10 come suo padre? Desiderio di emulazione?
No affatto. Cominciai questa sorta di gioco perché sapevo che i miei si divertivano molto a leggere le mie numerose interviste sui periodici spagnoli in cui io sovente facevo il verso a mio padre, in una sorta di ironica parodia familiare a nostro uso e consumo. Poi dopo la sua dipartita me li tagliai immediatamente, ma mia moglie Barbara si ribellò … le piacevo più con i baffetti paterni.

Lei dipinge dall’età di sette anni. Una domanda di prassi: come ha cominciato? E in che modo suo padre ha contribuito alla sua formazione?
Cominciai per pura emulazione infantile… ma anche per l’irresistibile tentazione di intrufolare le mani tra i suoi magici colori. Inoltre mi divertiva molto farlo arrabbiare. Lui non ha mai visto di buon occhio la mia propensione artistica…pur apprezzando il mio scellerato coraggio. Ha contribuito inconsapevolmente mettendo in piazza la sua grande perizia.

Salvador Dalì aveva una personalità fortemente istrionica e provocatoria. E’ vero che si travestiva da diavolo per non farla entrare nel suo studio?
Si. E non solo da diavolo… ma anche da beduino, da monaco e da qualsiasi altro travestimento gli passasse per la mente.

Qualcuno ha messo in dubbio la sua reale paternità. Vuole dire qualcosa a riguardo?
No di certo! Ogni lecito o illecito dubbio genera ulteriore curiosità sull’argomento. In fondo anche mio padre dall’alto della sua genialità non venne quasi mai preso sul serio. Magari quello di sembrare estremamente bugiardi è un destino di famiglia. Persino l’Arte in un certo senso è una formidabile “menzogna” dipinta a mano.

Fra le celebri opere di suo padre ce ne è una che ricorda di più negli anni della sua infanzia? E a cui si sente particolarmente vicino?
Il Cristo del San Giovanni della Croce, nato non so quanto casualmente nel medesimo anno in cui è nata mia moglie Barbara…ma anche “Bimbo geopolitico che osserva la nascita dell’uomo nuovo” del 1943, che sembra quasi dedicato alla mia nascita…oltre a tantissimi altri peculiari capolavori, tutti indimenticabili e in un certo senso premonitori.

Quello tra Gala e Dalì fu un amore durato oltre 50 anni. Una musa, una compagna di vita che ha esercitato su di lui un forte dominio. Che tipo di legame ha avuto da bambino e poi nella maturità con sua madre?
Forse non è stato un vero e proprio legame tradizionale, perché mia madre non aveva molta pazienza, in particolare con i bambini. Pur essendo una madre affettuosa ma soprattutto pratica… ha sempre prevalso in lei l’istinto di una severa organizzatrice generale. Un atteggiamento mutato velocemente con il trascorrere del tempo in quello di una apprensiva quanto preziosa consigliera.

Così scrive di lei Dalí nel suo libro, “Diario di un Genio” “L’amo più di mia madre, più di mio padre, più di Picasso, e perfino più del denaro”. Sua madre, Gala, fu curata a lungo per instabilità mentale. Che rapporto ha lei, José, con l’universo femminile?
Ho dipinto il volto di mia moglie diverso tempo prima di incontrarla. Ad oggi sono
quarantasei anni passati assieme felicemente… e se dovessi rinascere altre cento volte so
per certo che passerei il resto del mio tempo per ritrovarla.

Una curiosità. Dal precedente matrimonio di sua madre con il poeta surrealista Paul Eluard nel 1918 nacque Cécile, sua sorellastra biologica. Ha avuto modo di conoscerla?

Non personalmente. Solo qualche fugace telefonata di circostanza negli anni ottanta.

Salvador Dalì aveva un metodo preciso per risvegliare la creatività, utilizzava la tecnica dello “stato ipnagogico verticale” che ancora oggi viene applicata da molti per “allenare” la mente ad essere più ricettiva e fantasiosa. Lei che oltre ad essere pittore è anche scrittore, come stimola l’ispirazione? Come sceglie i suoi soggetti?
Non sono io a scegliere i miei soggetti, ma sono loro a scegliere me. Il più delle volte casualmente. E per quanto riguarda la mia ispirazione personale sono in “presa diretta” anche quando dormo.

Molto surrealista anche lei! Nel 2018 ha pubblicato con Laterza il romanzo “Un sorso di aceto e un caffè scorretto”. Quale idea l’ha portato a scrivere questa storia?
L’idea di una legittima vendetta servita “surgelata” a distanza di cinquant’anni… nei confronti di un regista cinematografico, fallito sin dai suoi esordi, tanto ambizioso quanto furfante, che per la sua smaniosa foga di successo ha passato la sua vita truffando moltissimi attori tra i quali il sottoscritto.

Da cosa trae maggiormente spunto, dalla realtà o dalla fantasia?
Dipende dalle circostanze. A volte dalla fantasia e a volte dalla realtà.

Parla un italiano perfetto. Cosa la lega al nostro paese?
La sua storia, la sua cultura…e soprattutto mia moglie che pur avendo origini portoghesi è italianissima.

Che ricordo conserva dei suoi genitori adottivi?
Due persone estremamente pazienti che hanno saputo svolgere magistralmente la loro funzione, malgrado la mia infantile propensione a creare reiteratamente disastri.

Sua moglie Barbara, che le è accanto da più di 40 anni, è anche la sua musa?
Si. L’unica!

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Quanto c’è della sua storia nella sua pittura?
Non saprei. Forse una ricerca affannosa quanto impossibile di dimostrare soprattutto a me stesso di essere degno di cotanti genitori.

Ultima domanda: Perché ha scelto di vivere una vita nascosta, fuori dalla notorietà?
Disse qualcuno di cui non rammento l’identità, che la genialità umana consiste nel trasformare in un grande capolavoro il senso della propria esistenza. Beh…io credo di non aver voluto danneggiare con la mia presenza il capolavoro costruito dai miei. Inoltre, ritengo la notorietà uno strumento troppo difficile da gestire, che esige una contropartita estremamente svantaggiosa da cui tenersi discretamente alla larga.

 

©PaolaValori